Su questo non può esserci alcun dubbio. La situazione del Paese era, ed è, estremamente grave. In gioco c’è la salvezza stessa dell’Italia, c’è il benessere complessivo conquistato grazie al lavoro e al talento di generazioni di italiani. La manovra messa a punto dal Governo Monti ha assunto subito, dunque, un carattere di estrema urgenza. Anche per rimediare alla debolezza delle recenti manovre estive. Di qui la sua pesantezza. Di qui i sacrifici richiesti agli italiani. Molti degli interventi contenuti in questa manovra sono dolorosi. I principi che il Governo ha dichiarato di aver seguito sono quelli del rigore, dell’equità e della crescita. È inevitabile che soprattutto il primo, il rigore, sia quello che oggi balza agli occhi. Per la crescita i risultati non possono venire nell’immediato: alcune basi sono state gettate, altre dovranno essere poste nei prossimi mesi. Di certo, in questo senso, il Partito democratico non farà mancare il suo contributo. Lo stesso contributo che è venuto nei giorni della discussione della manovra per rendere più forte e visibile il terzo principio, quello senza il quale per noi non può esserci né rigore né crescita: l’equità. Elementi di equità, nel testo iniziale del Governo, erano presenti. Abbiamo lavorato, in Parlamento, per moltiplicarli, per rafforzarli, per far sì che i sacrifici che il Governo chiede siano distribuiti davvero a tutti i gruppi sociali e a tutte le componenti del Paese.
È sicuramente una manovra che si presenta come seria, profonda e strutturale. E d’altra parte il suo essere percepita come dura e dolorosa deriva proprio da questo. Basti pensare che dal punto di vista fiscale vengono introdotti nuovi tributi, ampliate le basi imponibili e aumentate le aliquote di imposte già esistenti, senza percorrere le solite vie alle quali ci avevano abituati i governi della destra, a cominciare dai condoni.
Il primo e più evidente cambiamento è quello dell’estensione a tutti, a partire dal 1° gennaio 2012, del sistema contributivo, introdotto nel 1995 dalla riforma Dini per i lavoratori che al 31 dicembre di quell’anno avevano meno di 18 anni di contributi. La pensione degli assunti dal 1996 in poi sarà calcolata tutta con il contributivo, quella degli altri pro rata (per gli anni fino al 1995 con il retributivo). Altro cambiamento è l’accelerazione verso la progressiva equiparazione del trattamento pensionistico di uomini e donne del settore privato: il limite per il pensionamento di vecchiaia, fissato per il 2012 a 66 anni per gli uomini e a 62 per le donne, diventerà nel 2018 uguale per tutti e pari a 66 anni. Le pensioni di anzianità vengono poi portate, rispetto ai 40 anni uguali per tutti, a 42 anni e un mese di contributi per i lavoratori e a 41 anni e un mese per le lavoratrici. Per di più, per chi sceglie di uscire prima della soglia dei 62 anni sono previste penalizzazioni. Una positiva novità riguarda la possibilità di totalizzare tutti i periodi contributivi maturati dal lavoratore nel corso della propria vita. Infine, per ridurre le spese correnti nei prossimi due anni, il Governo ha deciso il provvedimento forse più doloroso: il blocco dell’adeguamento all’inflazione dei trattamenti previdenziali superiori al doppio del trattamento minimo. Questo, almeno, nelle intenzioni iniziali.
Sì, ci sono state modifiche. Non solo in questo campo, ma forse questo è stato il cambiamento, possiamo dire il miglioramento, più rilevante apportato alla manovra. Anche e soprattutto grazie all’impegno del Partito democratico. E così il pieno adeguamento all’inflazione è stato mantenuto, alla fine, per le pensioni pari non al doppio ma al triplo del trattamento minimo. Vale a dire che manterranno l’adeguamento tutti coloro che prendono fino a circa 1.400 euro lordi di pensione al mese, e cioè la gran parte dei pensionati (dieci milioni quasi). Inoltre, nel pieno rispetto della nuova normativa, sono state introdotte modifiche e integrazioni che hanno aumentato equità e gradualità della stessa. Solo per fare tre esempi: è stata attenuata la penalizzazione delle uscite “precoci”, prima cioè del compimento dei 62 anni; è prevista, per quanto riguarda i beneficiari dei criteri attualmente in vigore, la possibilità di una deroga per diverse decine di migliaia di lavoratori in mobilità o in disoccupazione; è prevista, per i lavoratori dipendenti del settore privato, una attenuazione dello “scalone”, consistente nell’accesso al pensionamento con età non inferiore a 64 anni qualora questi stessi lavoratori siano in possesso di specifici requisiti (un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 per gli uomini, di almeno 20 anni entro la stessa data per le donne che abbiano compiuto 60 anni).
Una novità è rappresentata dall’obbligo di comunicazione all’anagrafe tributaria, da parte degli operatori finanziari, di tutti i movimenti sui conti correnti e sui conti titoli: è la fine di quel segreto bancario dietro il quale si può a volte nascondere l’evasione fiscale. Trasmettere atti o documenti falsi, così come dati o notizie non corrispondenti al vero, diventa poi un reato penale. E c’è anche, argomento di cui si è discusso molto, l’obbligo di effettuare pagamenti elettronici nel caso in cui la somma superi i 1.000 euro. Per quanto ci riguarda avremmo preferito fosse fissata una soglia anche inferiore, ad ogni modo tracciabilità e trasparenza sono principi decisivi se si vuole contrastare e sconfiggere l’evasione fiscale, ed essere scesi dalla precedente soglia di 2.500 euro è comunque un passo che va nella giusta direzione. Per parte sua, la Pubblica Amministrazione effettuerà i suoi pagamenti utilizzando solo strumenti telematici. Sono previste, infine, semplificazioni e agevolazioni per le ditte individuali, i professionisti e le microimprese che scelgono la via del collegamento telematico e, appunto, della tracciabilità.
Di fatto sì. Non c’è una imposta patrimoniale personale, come ad esempio quella sulle “grandi ricchezze” che esiste in Francia e che comunque fornisce un gettito di poco più di un miliardo di euro (oltre ad essere facilmente eludibile diversificando l’intestazione dei patrimoni, ad esempio fra i familiari oppure tramite società di comodo). Ci sono però misure che rendono concreto il principio “chi ha di più paghi di più”, perché complessivamente colpiscono ricchezze e patrimoni più alti. Va in questa direzione un’imposta sui beni di lusso (imbarcazioni, aerei, auto di grossa cilindrata) che seppur attenuata rispetto a quanto contenuto nel testo iniziale afferma un principio importante, e cioè il fatto di cominciare a colpire non solo i “soliti noti” ma i “nuovi noti”. C’è poi l’estensione dell’imposta di bollo a titoli ed altri strumenti e prodotti finanziari, con l’eccezione di fondi pensione e fondi sanitari (dal 2013 proporzionale, con una aliquota dello 0,15%). Nella stessa direzione, a ben vedere, va anche la scelta effettuata per le cosiddette “pensioni d’oro”: grazie al lavoro di miglioramento della manovra svolto alla Camera il contributo di solidarietà per chi supera la quota di 200 mila euro annui sale dal 10% al 15% (sulla parte eccedente la quota fissata). Infine, c’è il nuovo e strutturale intervento nei confronti di chi si è avvalso dello scudo fiscale voluto dal governo Berlusconi per far rientrare in Italia i propri capitali all’estero.