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lunedì 12 aprile 2010

ANALISI DEL VOTO E...OLTRE

Se il Pd potesse parlare in queste settimane post-elezioni, sceglierebbe certamente questa frase: BARCOLLO MA NON MOLLO.

Di motivi per barcollare ne avrebbe più d’uno. Il nostro segretario, il buon Pigi, (che si può criticare, ciò non vuol dire che lo si voglia gambizzare politicamente, anzi di solito chi lo vuol fare non è così cristallino nelle critiche), continua a sostenere che tutto sommato non è andata così male, che non abbiamo perso così tanti voti, che abbiamo vinto sette regioni, posizione sostenuta nella lettera ai portavoce dei circoli giusto oggi.
Non c’è peggior ceco di chi (sicuramente, spero, in buona fede) non vuol vedere.
Queste elezioni sono state una mezza disfatta per svariati motivi (in ordine di importanza):

1.Abbiamo perso perché non riusciamo a proporre un’alternativa vera, fatta di posizioni chiare, comprensibili, accessibili ai nostri elettori storici e all’elettorato cosiddetto mobile (che cresce sempre più). Da che mondo e mondo a sinistra sono le idee e i programmi che rendono grandi le persone (vedi Obama e riforma sanitaria). Non si possono inseguire il PDL e la Lega e Di Pietro e l’Udc su ogni cosa perché al nostro interno ci sono venti posizioni diverse su ciascun tema. Serve una linea politica unitaria e chiara. Oggi non esiste.

2.Abbiamo candidato personaggi politicamente impresentabili, Penati, Bonino, De Luca, Loiero. C’era la possibilità in alcune regioni di proporre volti nuovi, giovani, che sarebbero stati sicuramente in grado di fare campagne elettorali più significative e avrebbero rappresentato una reale volontà di rinnovamento e cambiamento del partito. Paghiamo o scotto che, anche al nostro interno, nonostante gli sforzi compiuti (come mandare le liste elettorali alla commissione antimafia), persone che hanno poco senso etico e istituzionale (Del Bono, Marrazzo, Bassolino per dirne alcuni) ci fanno perdere credibilità politica, fomentando fenomeni dipietristi o grillisti.

3.Abbiamo perso perché il partito non è in grado di rinnovarsi. Serve coraggio per il rinnovamento, e noi non ne abbiamo dimostrato. "L’usato sicuro" non funziona: Errani al terzo mandato, Penati dopo aver perso in provincia, sono esempi lampanti. Questa classe dirigente non è più al passo con i tempi, non riesce a guardare avanti, oltre il suo naso, perché non ha coraggio; se il nostro partito vuole guardare al futuro non può prescindere da chi quel futuro lo dovrà vivere, cioè i giovani, ma se non ci sono giovani (in senso anagrafico, ma soprattutto politico, cose che comunque coincidono spesso) nel partito, come è possibile proporre politiche credibili? Al Nord il Pd e la Lega fra gli under 34 sono divisi da un solo punto percentuale (24% Pd, 23% Lega, dati tratti da http://www.termometropolitico.it/): questo dovrebbe far riflettere.

4.Le nostre capacità comunicative sono scarse. Le campagna pubblicitarie, fatte alcune eccezioni, sono qualitativamente vicine a quelle che si facevano prima della rivoluzione creativa di Bill Bernbach nel 1950. Non é possibile presentare programmi più lunghi della Bibbia o del Capitale (par condicio interna per ex Ds ed ex margherita!): la gente, e probabilmente qualche dirigente, non li legge! Bisogna puntare su alcuni cavalli di battaglia chiari, semplici, presentandoli con forza. In questo modo i circoli possono veramente diventare trincee dalle quali “assaltare le diligenze” dell’elettorato. Altrimenti le vecchie sezioni saranno barche mezze rotte in mezzo al mare in tempesta, segnate da un destino inevitabile: l’affondamento.

Barcolla allora il partito, ma non molla. Non cade. Non crolla.

Non cade perché Vendola (che non amo alla follia, ma che è coraggioso, qualità che all’interno del partito manca, infatti lo volevano far fuori) vince: vince perché governa bene, vince perché fa una campagna elettorale d’avanguardia (consiglio di darle un occhio, confrontandola poi con quella di Penati, anche se sconsiglio di fare ciò a chi ha problemi cardiaci), ideata e portata avanti da uno staff di trentenni (la Bindi e D’alema non sarebbero stati in grado di crearla, repetita iuvant).

Non cade perché il partito è vivo, alla faccia di correnti (Veltroni crea area democratica, probabilmente si è scordato che esiste un partito democratico) e fondazioni. La gente è stufa, è vero, e la corda non va tirata troppo (per alcuni si è già spezzata); iniziative come andiamo oltre (ideata da Giuseppe Civati, di cui consiglio di visitare il blog www.civati.splinder.com ) servono per far respirare il partito che ultimamente vive un po’ in apnea.

Non cade perché il Pd ha espresso il 10% delle sue potenzialità, e non ci si può arrendere perché i dirigenti non sono all’altezza di tutto questo, anzi bisogna metterci ancora più impegno e passione.

Non può permettersi di cadere perché abbiamo davanti a noi sfide fondamentali, come l’appuntamento delle comunali a Milano nel 2011 (per le quali deve essere obbligatorio per la morale collettiva fare le primarie). Bisogna parlare alla gente di PGT (piano di governo del territorio), infiltrazioni mafiose nei cantieri Expo (la Moratti sostiene che a Milano non c’è la mafia, perciò non occorre coinvolgere la direzione nazionale antimafia), viabilità, verde pubblico, della necessità di avere i consigli di zona con più poteri (mettendo in difficoltà la Lega, poco federalista nei fatti), di case popolari, di immigrazione ed integrazione, insomma: della NOSTRA IDEA DI CITTA’ (nei fatti, vade retro alternativa lombarda e simili, Penati sembrava il candidato della Lega nei cartelloni pubblicitari).

Solo così torneremo ad avere un partito che non sta più all’angolo del ring, che gonfia le sue ruote e comincia a scalare, in piedi sui pedali della nostra bici, la montagna irta che ci attende in questi tre anni, che si preannunciano, nella migliore delle ipotesi, difficili.

Stefano Indovino
membro del direttivo

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